giovedì 29 marzo 2007

Vita in campagna (II)

Questa è Clara



L’altra sera verso le 9 me ne stavo mollemente adagiata sul divano, caminetto acceso, tv accesa e uncinetto tra le mani, quando è partita la sirena dell’antifurto. E perché? Non l’avevo mica inserito. Vado alla centralina e comincio a smanettare, quella smette, mi rimetto a sedere sul divano e quella ricomincia. Digito codici a vanvera, smette di nuovo e di nuovo riparte. I cani abbaiano, la sirena ulula. Mi faccio forza, metto la giacca ed esco per andare al quadro elettrico. Sembra tutto a posto o comunque non so dove mettere le mani. Vado alla centralina del ristorante, forse è quella in casa che ha qualche contatto. Spippolo e parte anche l’allarme del ristorante! Torno al quadro elettrico e provo a togliere la corrente, ma le sirene continuano a strillare, com’è ovvio che facciano visto che sono pensate anche per fregare i ladroni che taglino la corrente. Resta il fatto che non avevo inserito nessun allarme. Che succede? I cani guaiscono e corrono avanti e indietro, mi guardano preoccupati, i gatti sono spariti dalla circolazione, signorilmente infastiditi dal fracasso.
Torno in casa e decido di chiamare l’elettricista. In circostanze del genere il pro di abitare in una casa isolata è che non ci sono vicini che si affacciano, vengono ad aiutare improvvisandosi esperti di ogni e qualunque attrezzatura, infine si incazzano perché le tue sirene tengono svegli i bambini; il contro è che l’elettricista, pur amichevole e volenteroso, abita lontano e visto che non ci sono ospiti paganti non mi sento di chiedergli di venire subito. Mi dà qualche suggerimento, ma ammette che io non sono in grado di disattivare del tutto l’antifurto, comunque giura che verrà la mattina dopo.
Torno alla centralina, tento qualche manovra a casaccio e magicamente la sirena del ristorante si cheta. L’altra continua a urlare ma già mi contento.
Mi rimetto sul divano, guardo la tv e lavoro a uncinetto facendo l’indifferente, e intanto la sirena ulula. Ogni tanto smette e mi illudo che il concerto sia finito, invece ricomincia sempre. Dal salotto arriva un po’ attutito, ma nel silenzio totale della notte di campagna riecheggia e rimbomba ed è impossibile ignorarlo.
Vado a letto che è l’una, casco dal sonno e penso che così mi addormenterò senz’altro. E in effetti mi addormento, ma tutte le volte che la sirena ricomincia mi risveglio; perché comunque anche lei continua ad attaccare e staccare. Alle 6 di mattina mi sveglio definitivamente, prendo un bel caffè e resto a letto a leggere. Verso le 7 e mezzo mi alzo e mi accorgo che da un po’ la sirena non riparte più. Che sarà?
Verso le 10 arrivano Raimondo e Davide, gli elettricisti. Smontano il quadro elettrico, verificano codici e contatti, attaccano e staccano, controllano e testano e arrivano alla conclusione che lì è tutto a posto, evidentemente c’è un contatto nella sirena stessa. Davide si arrampica su una lunga scala, smonta la scatola della sirena e… ci trova dentro un pipistrello! Stordito e sbigottito ma vivo e vegeto. Lo depone dolcemente sulle tegole del tetto e dopo un po’, mentre lui rimonta la scatola della sirena, il pipistrello vola via. Resta incomprensibile come abbia fatto ad entrarci, visto che dovrebbe essere a tenuta stagna. Ripenso alla mia notte insonne, ma chissà che incubo è stata quella del povero pipistrello!

lunedì 26 marzo 2007

Cena in casa





Freddo, vento e pioggia, me ne sto in casa e lavoro a uncinetto oppure vado a casa dai miei e faccio la zia con le nipotine. Anche nel fine settimana non ci sono clienti, o meglio ho avuto ospiti solo per una notte una coppia di ragazzi che partecipavano ad una gara di motocross qua vicino. E visto che erano solo in due non ho neanche aperto il ristorante, li ho fatti cenare qui in casa, davanti al caminetto acceso. E anche il menu era ridotto al minimo, comunque nello spirito di un vero b+b, come se fossero ospiti in casa. Mi ha ricordato appunto i tempi in cui me ne andavo in giro in Inghilterra o in Scozia e qualche madre di famiglia mi preparava la cena con quello che aveva in casa o nel congelatore.
E dunque per antipasto me la sono cavata con affettati e pecorino e carciofini sottolio, come primo piatto ho preparato tortelli (comprati) al burro (non hanno voluto il ragù). Come secondo piatto, scaloppine di maiale al latte con patate all’olio e bietola al limone, per dolce crema inglese con fragole. Ricettine un po’ stupidelle, ma facili e veloci, le metto lo stesso, magari a qualcuno fanno comodo. La ricetta della crema non la scrivo perché non ho fatto foto, ma tanto la rifarò presto, è una delle salse che uso di più come accompagnamento per i dolci.
Tra poco si comincia con i preparativi per Pasqua. Ci sono già prenotazioni per 50 persone.

SCALOPPINE DI MAIALE AL LATTE
400 gr di arista di maiale a fette
80 gr di burro
¼ litro di latte intero
Salvia, sale, pepe bianco, scorza di limone grattugiata
Si mette tutto a freddo e si fa cuocere a fuoco medio finché il latte non si è ritirato formando un bel sughetto.

PATATE ALL’OLIO (O AL VINO BIANCO)
2 patate medie a testa
Olio, sale, pepe bianco, salvia
Facoltativo: vino bianco
Sbucciare e tagliare a tocchetti le patate, metterle in un tegame dove stiano in un solo strato con olio sufficiente a coprire il fondo del tegame. Aggiungere acqua che arrivi a metà delle patate, condire e far andare a fuoco medio, meglio se coperte, finché sono tenere, eventualmente versando ancora un po’ d’acqua se asciugassero troppo.
Usando una parte di vino bianco e una parte di acqua, in proporzione secondo gusto, vengono più saporite. Con sola acqua vengono più gentili e smorzano meglio pietanze più sapide.

mercoledì 21 marzo 2007

Vita in campagna





E’ arrivato un gran freddo, vento e pioggia e grandine. Oggi è già un po’ meglio, ma ieri è stata una giornata davvero tremenda. E verso l’Amiata, ma già in basso a Monticello, c’è la neve.
E giusto ieri mattina mi è venuto un dubbio atroce, sono andata a controllare l’indicatore del serbatoio di GPL e ho visto che segnava zero spaccato. Ho spento subito il riscaldamento, che ancora funzionava, perché se si vuotano completamente le tubature, come è già successo, quando poi il GPL arriva e riaccendo, la caldaia va continuamente in blocco, causa bolle di aria. E dunque da ieri niente riscaldamento. Ho chiamato subito il mio fornitore, che sta a Grosseto, e mi ha promesso che mi avrebbe rifornito al più presto. Che è una formula rassicurante ma piuttosto vaga.
Nel frattempo avrei voluto accendere il caminetto, ma durante la notte il vento aveva strappato e portato via il telone che copre la legna, che dunque era in gran parte bagnata causa pioggia. Ci ho rinunciato, mi sono messa pantaloni e maglione pesante e non sono stata poi male, in casa c’erano comunque 17 gradi, che un tempo, quando abitavo a Firenze, mi avrebbero fatto bubbolare dal freddo, ma ormai mi sono temprata, mi sembra quasi un bel calduccio.
Stamattina ho chiamato di nuovo il fornitore di GPL, e mi ha detto che anche per oggi niente da fare, il camion sta facendo il giro verso Manciano e non viene dalle mie parti. In soggiorno c’erano 13 gradi, in camera da letto e studio 16. Nel frattempo, stanotte c’è stato vento e la legna si è un po’ asciugata. Per fortuna è venuta Assunta, che mi ha dato una mano a portare in casa un bel carico di legna, scegliendo quella più asciutta, e altra ne abbiamo messa sotto il portico in modo che asciughi meglio; e abbiamo recuperato il telo di plastica e coperto di nuovo la catasta, ancorandolo bene perché non voli più via (spero).
E dunque ho acceso il caminetto, mi lavo con parsimonia perché l’acqua è fredda, mangio salumi o scatolette o scaldo qualche avanzo nel microonde. Potrei comunque cucinare nel forno elettrico, ma non ne ho neanche voglia.
Veramente già in novembre avevo deciso che non avrei mai acceso il riscaldamento quando ci sono io da sola, l’avrei acceso solo quando ci sono ospiti. Mi sono concessa qualche deroga in quest’ultimo mese, ma in effetti per tutto novembre e dicembre, tranne appunto nei pochi giorni in cui ci sono stati ospiti, la prima cosa che facevo la mattina era riattizzare il fuoco della sera prima nel caminetto e nella stufa. Dà un gran conforto ritrovare le braci ancora accese sotto la cenere: un momento altamente simbolico, no?
In effetti credo che, tra le tante ragioni per cui ho deciso di vivere in campagna ci sia proprio questa immediatezza e onnipresenza di simboli. Indubbiamente è un ambiente che, in me, risveglia infiniti ricordi e mi riporta quasi ipnoticamente all’infanzia; ma è anche un mondo che brulica di metafore; dalle più ovvie e universali, come l’eterna morte e rinascita della terra con le stagioni, o come il ciclo della vita con il seme, la pianta, il frutto, alle più tenui e personali, come appunto ritrovare caldo e vivo un fuoco che sembra spento. E vivere immersa in questo brodo di metafore e simboli e storie mi fa stare meglio, o almeno si addice alla mia anima ben più della vita in città, dove simili metafore e simboli sono più distanti e sfuocate. Il prezzo che si paga è, indubbiamente, qualche fatica in più e una diversa organizzazione del tempo. Portare la legna in casa, per esempio, è certamente fatica e porta via un sacco di tempo. Per ora trovo che il gioco valga la candela.
E cosa faccio barricata in casa e senza gas per cucinare? Metto a posto carte insulse (non avrei mai pensato che per mandare avanti un agriturismo avrei dovuto dedicare così tanto tempo all’amministrazione) e lavoro a uncinetto, sto facendo le bomboniere per la prima comunione di Ginevra. La vecchia zia che lavora a uncinetto davanti al caminetto, un classico!
P.S. Ha telefonato quello del GPL, dice che viene domattina.

Una volta per tutte


Una precisazione: nelle ricette, quando parlo di olio intendo sempre ed esclusivamente olio extravergine di oliva. Che massaia rurale toscana sarei sennò? L’olio che metto in tavola nel ristorante e che uso per condire è quello di mia produzione. Ho circa 300 olivi, piantati nel 2000: moraiolo, leccino, frantoiano e olivastra di Seggiano, una specie autoctona dell’Amiata, che è lenta nella crescita e produce olive piccoline, ma è molto resistente alle gelate. Per cucinare uso comunque olio extravergine di olive, ma magari lo compro visto che la mia produzione è ancora lontana da darmi l’autosufficienza (56 kg nel 2006). Per friggere, in particolare dolci, preferisco olio di girasole, soprattutto per un fatto di gusto: mi sembra che si distingua meglio il sapore della cosa fritta, mentre l’olio d’oliva tende sempre a farsi sentire un po’ troppo. Però confesso che mi sento un po’ traditrice quando verso olio di girasole in padella…

martedì 20 marzo 2007

Frittelle e altro

Gli asparagi di campo

La pasta per le frittelle di riso


Le frittelle di riso


La pasta per i bignè


Bignè pronti per la cottura e in cottura


I bignè pronti

Festa del papà! Ieri c’era gente a pranzo, io e Gianna abbiamo fatto gli gnocchi col ragù del buttero, uno stracotto al Montecucco e poi frittelle di riso e bignè fritti alla crema. Per antipasto, a parte affettati assortiti, carciofini sottolio e pecorino, crostini al ragù con acciughe e capperi, abbiamo fatto anche carciofi fritti, i primi del mio orto, e tortino di asparagi. Ero andata il pomeriggio di sabato a fare un giretto intorno casa a raccogliere gli asparagi.

TORTINO DI ASPARAGI
Per 4 persone
Tagliare a pezzetti un mazzetto di asparagi di campo, cuocerli brevissimamente con olio e un po’ d’acqua e fuoco dolce. Sbattere 4 uova con un pizzico di sale, versarle nella padella degli asparagi e mescolare continuamente a fuoco dolcissimo finché cominciano a rapprendersi, spegnere e continuare a mescolare, praticamente è una crema di uovo, o uova strapazzate morbidissime con gli asparagi. Si serve con fettine di pane tostato, ma è anche molto piacevole servito in cestini di parmigiano.

RAGU’ DEL BUTTERO
Per 4 persone
Rosolare in olio abbondante 5 salsicce sbriciolate, aggiungere 750 gr di pomodoro a pezzi, sale e un pezzetto di peperoncino, far ritirare su fuoco medio. Poco prima di spegnere il fuoco, aggiungere 150 gr di olive verdi e 150 gr di olive nere, meglio se snocciolate.

GNOCCHI DI PATATE
Sempre per 4 persone, circa 1 kg di patate, farina q.b., sale
Lessare le patate e schiacciarle con l’apposito attrezzo, facendole cadere sulla spianatoia infarinata. Salare e impastare con la farina. Quanta farina? Dipende dalla patata. E’ lì il difficile dello gnocco… Devono rimanere morbidi e soffici, dunque meno farina si mette e meglio è. D’altra parte se non se ne mette abbastanza non stanno insieme durante la cottura e si spappolano nell’acqua. Ho letto mille disquisizioni sul tipo di patata da usare e mille presunti trucchi e accorgimenti da usare, ma mi sa che nessuno è assolutamente sicuro. Ovviamente non bisogna usare le patate nuove, troppo acquose, ma al di là di questo non la farei troppo lunga tra patata gialla o bianca o rossa. Per quanto riguarda lo stare insieme restando morbidi bisogna solo provare e riprovare finché si trova la “mano”; e per il gusto, naturalmente avranno sapore diverso se fatti con patate bianche o gialle, ma gli gnocchi saranno comunque diversamente buoni. Il bello del cucinare è anche questo, no? Non è mica chimica!
Gettare gli gnocchi nell’acqua in ebollizione e scolarli quando salgono a galla. Condire a strati con il ragù di cui sopra.
Come ricetta per fare gli gnocchi non è un granché, lo so! Ma è uno di quei (tanti) piatti in cui le dosi hanno davvero poco senso.

STRACOTTO AL MONTECUCCO
Montecucco è una DOC ancora relativamente recente, ma conquista consensi sempre più ampi. Io, lo proclamo con orgoglio, sono astemia, dunque mi asterrò da qualunque chiacchiera sul tema. Il vino sfuso lo compro da Renato (che produce anche diverse etichette), che ha la vigna a pochi chilometri da me. In genere il suo vino piace molto, tanto che poi molti miei ospiti vanno da lui a comprarne un po’ da portarsi a casa.
1 kg circa di magro di vitellone di secondo taglio (dunque un po’ duretto, senza esagerare)
Si fa rosolare in un tegame a bordi alti in olio abbondante, e quand’è marroncino e comincia a fare le crosticine si aggiungono 1 cipolla piccola tagliata in 4 spicchi, 2 carote a tocchi, un pezzetto di sedano, 2 spicchi d’aglio, salvia e rosmarino, una manciatina di bacche di ginepro. Si fanno rosolare brevemente anche le verdure, poi salare e pepare e versare il vino in quantità tale da restare per circa 3 dita nel tegame. Coprire e lasciar cuocere a fuoco basso, girando la carne di tanto in tanto. Se asciuga troppo aggiungere acqua in piccole quantità. Ci vogliono circa due ore di cottura, se può cuocere più a lungo è meglio. Alla fine deve rimanere un sughetto abbondante e cremoso. Affettare la carne non troppo sottile e coprire col sugo.

FRITTELLE DI RISO
300 gr di riso
1 litro di latte
100 gr di zucchero
50 gr di uvetta
50 gr di pinoli
4 uova
Un pizzico di sale
Olio per friggere (io uso quello di mais)
Cuocere il riso con lo zucchero e il sale nel latte finché è completamente assorbito, ma non troppo asciutto. Aggiungere l’uvetta e i pinoli e le uova leggermente sbattute. Prelevare l’impasto con un cucchiaino e friggere in olio bollente. Scolarle quando sono ben dorate, farle asciugare su carta assorbente e rotolarle nello zucchero.
Non c’è farina e non c’è lievito, la ricetta è giusta così.

BIGNE’ FRITTI ALLA CREMA
Un po’ noiosi da fare ma buonissimi.
Per i bignè:
250 ml di acqua
125 gr di burro
150 gr di farina
4 uova
Mettere in una casseruola acqua e burro, far sciogliere sul fuoco e quando comincia a bollire buttarvi dentro la farina in un colpo solo. Mescolare rapidamente per amalgamare bene, tenere ancora qualche minuto sul fuoco finché sfrigola. Lasciar raffreddare, poi aggiungere un uovo alla volta sempre mescolando molto bene dopo ogni uovo. Aiutandosi con due cucchiaini prelevare piccole quantità di impasto, modellarlo in modo da ottenere grosse nocciole rotonde e deporle su un foglio di carta forno. Con una forchetta staccare poche nocciole di pasta per volta e friggerle in olio caldo ma non troppo. Devono cuocere lentamente in modo da gonfiare, e per la stessa ragione è bene bucare le palline di pasta con uno stecchino man mano che crescono. Scolare e lasciar asciugare su carta assorbente.
Per la crema (faccio una crema un po’ insolita ma viene buonissima)
6 uova
9 cucchiai di zucchero
3 cucchiai di maizena
1 litro di latte
1 bustina di vanillina
1 pizzico di sale
In una casseruola molto grande, con un frullino elettrico, frullare le uova intere con lo zucchero, il sale, lo zucchero e la maizena. Aggiungere in due o tre volte il latte freddo frullando tra un’aggiunta e l’altra. Si comincia a formare della schiuma sulla superficie. Mettere sul fuoco calore alto, girare per qualche minuto con un mestolino, poi frullare di nuovo, continuamente, con il frullino elettrico. La schiuma cresce e monta sempre di più (per questo il tegame dev’essere grande almeno il doppio del liquido quand’è freddo) . Quando la crema sta per bollire, invece, la schiuma si affloscia e sparisce del tutto intanto che la crema si addensa. Frullare sempre, girando lungo i bordi del tegame, spegnere il fuoco e mescolare ancora con il mestolino incorporando la bustina di vanillina. Travasare in un contenitore di porcellana, coprire con pellicola appoggiata sulla superficie della crema e far raffreddare. Per farcire questi bignè è sufficiente metà dose della crema.
L’assemblaggio! Farcire i bignè con la crema usando il sac a poche con una bocchetta lunga e sottile. Rotolare nello zucchero o spolverizzare con zucchero a velo.

Week end con le amiche

Questa sono io...

... e queste sono le amiche


WEEK END 9 – 11 MARZO
Lo scorso fine settimana sono venute a trovarmi Franca e Deda (con il piccolo Tommaso) da Milano e Lia da Sorrento. Amiche di vecchia data, tante chiacchiere da fare quasi sempre sedute sul divano in salotto, anche perché fuori c’era un ventaccio freddo che scoraggiava ogni passeggiata nei campi. E per consolarci abbiamo anche cucinato e mangiato. Niente di sensazionale, giusto qualche prova tecnica, ma ne è venuto fuori un buffo contrappunto maremmano – sorrentino (le milanesi non hanno cucinato a questo giro) che mi fa piacere appuntarmi. Non ci sono foto dei piatti che abbiamo cucinato perché non ho pensato a farne, purtroppo, ce li siamo mangiati subito. Devo ricordarmi le necessità di documentazione sul blog d’ora in poi...
Allora abbiamo preparato:
strascinati fatti in casa con ricotta e pomodoro
zuppa di fagioli e spinaci
patè di fegatini
genovese
penne al sugo genovese
strudel di mele

STRASCINATI CON RICOTTA E POMODORO (coproduzione maremmano – sorrentina)
Per 4 persone, ho preparato la pasta con 600 gr di semola di grano duro, un pizzicone di sale, due cucchiai di olio e acqua quanto basta. Ho lavorato a lungo la pasta, poi l’ho fatta riposare per una mezz’oretta. Tagliando via via dei pezzi dalla pasta, li ho rotolati sulla spianatoia facendone dei lunghi rotoli, poi tagliati a pezzetti come per gli gnocchi. E qui viene il bello. Ogni pezzetto dev’essere premuto e strusciato col pollice sulla spianatoia fino a farlo rotolare su se stesso. Più facile a fare che a spiegare. Li facevo per la prima volta e all’inizio mi venivano degli strani bozzi, poi ho preso un po’ la mano, comunque somigliavano un po’ troppo alle orecchiette.
Il sugo l’ha fatto Lia. Mettere in padella olio qb a velare il fondo, due – tre spicchi d’aglio, 800 gr di pomodori freschi tagliati a pezzi e privati dei semi, sale, qualche foglia di basilico. Far cuocere a fuoco alto finché l’acqua dei pomodori si è ritirata senza asciugarsi troppo, poi aggiungere 400 gr di ricotta di pecora e mescolare bene. Cuocere la pasta bene al dente, scolare e versare nella padella col sugo, saltare aggiungendo ancora qualche foglia di basilico spezzettato e parmigiano grattugiato.

ZUPPA DI FAGIOLI E SPINACI (maremmana)
Una ovvia premessa; verdure fresche e legumi cotti in casa sono infinitamente più gustosi di quelli surgelati o in scatola. Ciò detto e sempre tenuto in mente, resta il fatto che quando ho fretta o voglio comunque semplificare uso anch’io scatolette e surgelati. Questa minestra l’ho fatta con fagioli cannellini in scatola e spinaci surgelati (tutto marca Coop, per la precisione!). Si fa così.
Per 4 persone, affettare sottile una grossa cipolla, a cubetti un paio di carote e 3 patate di media grandezza. Mettere tutto in un tegame con olio (mezzo dito di spessore), aggiungere una costola di sedano e far stufare il tutto dolcemente a fuoco basso. Quando la verdura comincia a colorirsi, versare nel tegame 2 scatole da 400 gr di fagioli cannellini con tutta l’acqua di conservazione, altra acqua (circa 1 scatola usando come misurino quella dei fagioli), due cucchiai di concentrato di pomodoro, 4 o 5 cubetti di spinaci surgelati. Alzare il fuoco per far riprendere il bollore, poi abbassare di nuovo e far sobbollire girando di tanto in tanto finché la minestra si è addensata. Poco prima di spegnere il fuoco, assaggiare e aggiustare di sale, ma può darsi che non ce ne sia bisogno affatto, i fagioli in scatola sono già salati. Si mangia anche così, ma tenendola un po’ più liquida si può versare sopra del pane raffermo affettato sottile e lasciar assorbire. La zuppa vera e propria, a casa mia, è quella fatta col pane (ovviamente non salato), ed è quasi più buona il giorno dopo.

PATE’ DI FEGATINI (maremmana)
300 gr di fegatini e cuori di pollo
Mezza cipolla, due carote, una costola di sedano, uno spicchio d’aglio, buccia d’arancia, due rametti di rosmarino, due di salvia, una manciata di capperi, olio, 30 gr di burro, mezzo bicchiere di vino bianco, un bicchiere di latte, sale e pepe
Soffriggere dolcemente in olio e burro le verdure tritate e gli odori. Quando cominciano a colorire aggiungere i fegatini ben puliti, salare e pepare. Rosolarli a fuoco medio senza farli scurire, poi versarvi il vino bianco e far ritirare, aggiungere quindi il latte e far cuocere ancora finché il fondo di cottura diventa cremoso, meglio se ancora un po’ liquido. Ripescare i rametti più legnosi delle erbe, ma lasciare comunque le foglie. Frullare nel robot da cucina finché diventa una bella crema liscia e densa. Aggiungere i capperi, un altro pezzetto di buccia di arancia tritata finemente con le forbici, frullare brevemente solo per mescolare. Travasarlo in un contenitore che possa andare in frigo premendo e lisciando bene in modo che non rimanga aria.
Si serve su fette di pane leggermente tostato oppure, per un gusto un po’ diverso, su fettine di mela: il gusto acidulo della mela smorza il dolciastro del fegato.
Ne faccio anche una versione più chic, procedendo alla cottura come già detto, ma aggiungendo poi circa 150 gr di burro nel robot da cucina. Meglio allora metterlo in uno stampo a cassetta foderato di pellicola e servirlo quindi tagliato a fettine, freddo di frigorifero.

GENOVESE E PENNE AL SUGO GENOVESE (sorrentina)
Si chiama genovese ma a Genova non sanno cosa sia, pare sia un piatto totalmente napoletano. Per possibili spiegazioni e congetture, consultare “I dodici capolavori della cucina napoletana”, di Lejla Mancusi Sorrentino, edizioni Intra Moenia. Anche questo regalo di Lia, ovviamente!
Pare sia tradizionale piatto della domenica, e con un tegame solo si prepara il sugo per la pasta e il secondo piatto, il che non è male.
Per 4 persone
1 kg di girello di manzo (ma si fa anche con tagli di manzo meno pregiati o con l’arista di maiale)
1 ½ kg di cipolle bianche o gialle
1 carota
3 belle fette di pancetta
1 cucchiaio di concentrato di pomodoro
Sale e pepe bianco
In un tegame bordi alti rosolare leggermente la carne in olio sufficiente a coprire il fondo del tegame, poi aggiungere le cipolle e la carota affettate sottilmente, la pancetta tritata. Far stufare a fuoco medio, quando il fondo si è fatto più liquido per l’acqua di vegetazione delle cipolle sciogliervi il concentrato di pomodoro. Aggiustare di sale e pepe, coprire e lasciar cuocere a fuoco basso, girando di tanto in tanto la carne e il fondo di cottura, per un paio d’ore o meglio tre. Dev’essere sempre bello umidino, se si asciuga troppo bagnare con acqua in piccole quantità. A fine cottura la cipolla sarà completamente disfatta e di un bel colore dorato. Lasciar riposare la carne per 10 minuti fuori dal tegame (si affetta meglio), affettare e disporre le fette nel vassoio di portata. Spalmarle singolarmente con la crema di cipolla, eventualmente frullata col mini pimer se piace liscia liscia.
Lessare la pasta bene al dente, versare in una zuppiera e condirla con la salsa di cipolle rimasta nel tegame, aggiungendo qualche cucchiaio dell’acqua di cottura della pasta e abbondantissimo parmigiano. Mescolare bene. E si mangia la pasta, poi la carne leggermente riscaldata. E infine aerare bene il locale prima di soggiornarvi….

STRUDEL DI MELE
Né sorrentina né maremmana ovviamente! Ma la ricetta l’ha portata Lia, ritagliata da un giornale, ed è di Giulia Crespi, chiunque ella sia. Lia ha preparato tutto, io ho solo tirato la pasta e calibrato la cottura sul mio forno, che è piuttosto potente. Nella ricetta originale la cottura era a 180°.
350 gr di farina
50 gr di burro fuso
1 uovo, sale
Per il ripieno:
1 kg di mele renette
100 gr di burro
100 gr di zucchero
150 gr di uvetta
150 gr di pinoli
3 cucchiai colmi di mollica di pane grattugiato o pangrattato
Scorza grattugiata di mezzo limone
Cannella, burro, zucchero a velo

Fare la fontana con la farina e il sale, versarvi il burro fuso, l’uovo e ½ bicchiere di acqua tiepida. Impastare e lavorare energicamente, far riposare per 1 ora.
Sbucciare le mele, mescolarle con l’uvetta ammollata e i pinoli, scorza di limone, zucchero e cannella. Stendere la pasta sottile allargandola anche con le mani fino ad ottenere un ovale di circa 60 x 80 cm, possibilmente su una tovaglia infarinata. Spennellare con il burro fuso, con la mollica di pane o il pangrattato rosolato nel burro. Distribuire le mele lasciando un bordo di circa 3 cm, spolverare con 100 gr di zucchero. arrotolare partendo dal lato lungo aiutandosi con la tovaglia. Curvare a forma di ferro di cavallo, trasferire su una teglia rivestita di carta forno, spennellare con burro fuso. Cuocere in forno a 160° per circa un’ora. Spolverare di zucchero a velo prima di servire, freddo o tiepido.

Marmellate di arance

Anche Leo è più o meno dello stesso colore...


Questa è la marmellata di Lia




Questa è la marmellata della mamma di Cristina




Questa è la marmellata alla scozzese, versione modificata


Scritto in febbraio

Breve vacanza da Lia, a Sorrento. Come molti anni fa (era da tanto tempo che non andavo da quelle parti!) ho ritrovato lo stupore per i lunghi viali fiancheggiati da alberi di arance, i grossi frutti maturi già caduti a terra per quest’inverno così mite. E ancora arance e limoni nei giardini delle case, basta un quadratino di terra e già troneggia un immenso albero delle foglie verdissime e carico di frutti, e ancora arance e limoni ombreggiati e coperti da stuoie e cannicci contro la grandine o il sole cocente che verrà.
Me ne sono tornata a casa con tre cassette colme delle arance di Lia, colte nel suo giardino proprio il giorno della partenza. Arance grosse e dalla buccia spessa e opaca (non trattate, biologiche ben oltre ogni codifica), dolci e succose. Lia mi ha dato la sua ricetta preferita, ma vista l’abbondanza ho anche voluto sperimentare altre ricette trovate su libri o suggerite da altri. Per molti giorni la cucina del ristorante, casa mia e l’aria tutto intorno al podere si sono profumate dell’aroma denso eppure fresco e pungente delle arance. Ecco le ricette.

Marmellata di arance di Lia
Pesare le arance, e per ogni chilo di frutta pesare 700 gr di zucchero. Con un pelapatate sbucciare le arance e tagliare le bucce a filetti sottili. Sbollentare per tre volte e mettere da parte. Sbucciare nuovamente le arance per togliere la parte bianca, ed eliminare quanto più possibile tutti i semi e i filamenti. Lavorare sopra un recipiente per non perdere il succo. Mettere la polpa, il succo, le bucce sbollentate e lo zucchero in un tegame largo e basso. Portare a bollore e far cuocere a fuoco alto girando spesso, soprattutto dal momento in cui la marmellata comincia ad addensare. Essendo così liquida pensavo ci volesse molto tempo, invece in meno di mezz’ora la goccia fatta cadere sul piattino freddo scorreva molto pigramente. E anzi bisogna ricordare che raffreddandosi addensa molto, tanto che la prima mandata che ho fatto è diventata quasi soda e l’ho dovuta ammorbidire con qualche cucchiaio di acqua prima di invasarla. Dunque meglio lasciarla un po’ liquida.
Lia invasa la marmellata bollente in vasi sterilizzati e conserva al fresco. Succede, ed è assolutamente normale, che dopo qualche mese si formi una muffetta sulla superficie della marmellata. Basta toglierla con un cucchiaio e mangiarsi tranquillamente quello che sta sotto. Ricordo bene mia nonna che toglieva così la muffetta profumata dai vasi della sua marmellata di susine, e la spalmava poi sul pane per la merenda della sua adorata nipotina, io. In campagna si è sempre fatto così, e magari siamo cresciuti più sani e forti anche per qualche sbaffo di muffetta sfuggita al cucchiaio della nonna.
Ma credo che la asl non approverebbe, e comunque preferisco star sicura. Dunque io faccio raffreddare la marmellata, questa come qualunque altra, e questo mi consente anche di controllare la densità: se è troppo soda ammorbidisco, se rimane liquida faccio alzare il bollore di nuovo. E poi invaso, metto i vasetti in una grossa pentola dove possano stare coperti d’acqua, porto a bollore e faccio bollire per un quarto d’ora o 20 minuti, dipende dalla grandezza dei vasi. Faccio raffreddare sempre immersi nell’acqua, e poi in dispensa. Per questa, come per quasi tutte le marmellate, bisognerebbe aspettare almeno una settimana prima di mangiarla. Il sapore migliora.
Un po’ lunga e noiosa la preparazione delle bucce, ma viene molto delicata, bellissima da vedere. Forse perde un po’ di profumo, ma è sicuramente perfetta la mattina a colazione.

Marmellata di arance della mamma di Cristina
Cristina l’ho persa di vista da tanti anni, ma ricordavo ancora la ricetta che mi aveva dato quando rimasi estasiata dalla marmellata fatta dalla sua mamma. Bucce intere in pezzi grossi, quasi candite, immerse in una sorta di gelatina trasparente e profumatissima. Si fa così.
Pesare le arance, e per ogni chilo di frutta pesare un chilo e mezzo di zucchero. Con una forchetta bucherellare profondamente le arance, insistendo soprattutto dove la buccia è più spessa, vicino all’attaccatura del picciolo. Metterle in una catinella piena d’acqua e lasciarle per almeno un giorno e una notte cambiando spesso l’acqua, o meglio lasciarle sotto il rubinetto appena aperto in modo che un filo d’acqua coli continuamente in modo da spurgare l’amaro delle arance.
Si fanno poi a grossi pezzi i frutti eliminando i semi e si mettono nel solito tegame basso e largo con lo zucchero. Far bollire dolcemente finchè si rapprende, e anche qui è meglio lasciarla un po’ liquida. Far raffreddare, invasare e sterilizzare i vasi come sopra.
Viene molto più rustica e consistente, trovo piacevole il contrasto fra le bucce che si mangiano a morsi e la parte gelatinosa.

Marmellata di arance alla scozzese
(diciamo così, visto che ho trovato la ricetta in un libro della signora Claire McDonald of McDonald, ma l’ho un po’ modificata)
Per 1 kg di frutta pesare 1 kg e mezzo di zucchero. Mettere le arance intere in una grossa pentola, coprirle di acqua e portare a bollore. Far bollire dolcemente per una mezz’oretta, poi scolare l’acqua e far raffreddare. Quando si possono maneggiare, aprire e togliere i semi, fare a pezzi e frullare in un robot da cucina. Si può tritare più o meno finemente, lasciando pezzi un po’ grossi oppure riducendo proprio in purè. Mettere poi nel tegame con lo zucchero, aggiungere anche un bicchiere d’acqua per ogni chilo di frutta, portare a bollore e far cuocere dolcemente finché si rapprende.
E’ la ricetta più spiccia da fare, ma la marmellata che ne viene fuori è la meno bella da vedere, il colore è opaco e molto più scialbo che nelle precedenti, però è comunque molto buona di sapore, forse addirittura la migliore delle 3. Magari si può tenere per crostate.
Variante: proprio per via del colore non bellissimo ho provato una via di mezzo. Una volta bollite le arance, le ho aperte ed ho fatto le bucce a strisce sottili, poi ho cotto come nella ricetta originale. Il procedimento diventa più lungo e noiosetto, il risultato finale migliore d’aspetto. Una via di mezzo insomma.

lunedì 19 marzo 2007

Perchè questo nome




La massaia rurale. Perché questo nome per il mio diario?
Mi ricordavo di aver trovato qualche anno fa, fra i documenti della mia nonna Irma, una sua vecchia carta di identità dove alla voce “professione” stava scritto proprio “massaia rurale”. La definizione mi colpì. Già la parola massaia non si usa quasi più, sa di tegami che lungamente sobbollono sul fuoco, di bucati messi sotto acquetta o addirittura sotto ranno, di calze rammendate con l’aiuto dell’uovo di legno, di pavimenti tirati a cera, di centrini all’uncinetto e di lenzuola con l’orlo a giorno. Non si dice più massaia, semmai si dice casalinga, che forse ha un suono più anonimo e vago e ammette l’uso di microonde e di salviette usa e getta.
Ma soprattutto lì per lì mi sembrò bizzarro che si volesse precisare che si trattava di una massaia che vive in campagna. Che differenza c’è, che bisogno c’è di specificare?, pensai. E invece, riflessione immediatamente successiva, c’è una bella differenza, perché la massaia che vive in campagna, oltre ai consueti lavori di casa della massaia cittadina, faceva (e fa) molte altre cose: c’è il pollaio da badare, un’occhiata all’orto, una dispensa più ricca e più complessa da tenere in ordine... mille altre faccende che, evidentemente, l’impiegato del comune aveva in mente compilando la carta di identità della mia nonna; o magari davano sostanza ad una diversa codifica in qualche elenco delle professioni, una sorta di tabella Istat dell’epoca.
E siccome anch’io oggi, con qualche imbellettatura moderna, altro non sono che una massaia rurale, mi è piaciuta l’idea di rivestirmi della stessa qualifica professionale della mia nonna.
La cosa buffa è che oggi sono andata a cercare quella vecchia carta di identità per scannerizzarla e metterla qui, e ho scoperto che il mio ricordo era del tutto sbagliato: alla voce “professione” c’è scritto “atta a casa”! Altrettanto datato ma più rozzo. Eppure sono convinta che “massaia rurale” non me lo sono inventato, l’ho trovato da qualche altra parte fra le carte di nonna Irma. Forse lo ritroverò.
E la voglia di scrivere e favoleggiare, diffusa un po’ in tutti i rami della famiglia, mi viene però più intensamente, credo, dall’altra nonna, nonna Renata.
Ecco, invocati i miei numi tutelari ora si può cominciare.


mercoledì 14 marzo 2007

un buon inizio


Quasi non ci credo! Dopo una serata di esplorazioni e tentativi ho appena creato il mio blog. Per parlare di cucina, di campagna, di amici, di ricordi e di progetti.

Suppongo questo sia il mio primo post. E mi sembra già tanto. Ora provo ad inserire una foto e per stasera mi ritengo soddisfatta, è tardissimo e sono stanchissima.

'Notte